#33 - La sintesi finale




Ci troviamo in Puglia, nell’entroterra murgiano, a Martina Franca, luogo custode di storia e tradizione; una città avvolta dal fascino e dalla magia, tra mito e cultura, palcoscenico di un lungometraggio di recente realizzazione. L’itinerario alla scoperta della “cosa” parte da qui.
Addentrandosi lungo percorsi tratturali costeggiati dai tipici muretti a secco, in un paesaggio costellato dalle bianche punte dei trulli in pietra, singolari costruzioni dalla struttura conica, tra le storiche masserie proprie di questi luoghi, sacri scrigni del passato e dei suoi usi e costumi, ecco spuntare tra le bontà culinarie e gli oggetti più antichi questa particolare “cosa”, dall’aspetto curioso e dalla forma ibrida, tra vaso ed anfora: il capasone.
Giara, zirre, orcio… sono diverse le sue denominazioni tra lingue e dialetti e svariati gli usi che ha assunto nel tempo, a partire dai primi brevetti. Può variare per forma e dimensioni, secondo una caratteristica tassonomia; composto da uno spesso strato di terracotta, per mantenere al suo interno la temperatura costante adatta a conservare alimenti e bevande, è spesso smaltato e ornato con colorati fregi floreali o stemmi di casate nobiliari.
“Il vaso vale per ciò che può contenere”: denominato Capès(e) in dialetto martinese, ovvero il più capace, è simbolo dei prodotti tipici dell’enogastronomia pugliese e rimanda ad un’idea di prosperità e abbondanza. In passato era utilizzato come contenitore per olio, acqua, fichi secchi, ma soprattutto vino, per il processo di fermentazione alcolica, visto come emblema della cantina, con testimonial sul territorio pugliese.

Caduto in disuso con l’introduzione della botte, il capasone è oggi ornamento per interni ed esterni in campagne e masserie della Valle d’Itria, espressione del legame alla terra natia, dell’artigianato locale e dei frutti della terra. Da qui, nell’evoluzione futura, si potrebbe ipotizzare che il capasone possa diventare un singolare complemento d’arredo per interni, di moderno design, attraverso giochi di colori e sezioni. Quindi, il capasone come contenitore di “concetti”, avvolto da una nuvola di nomi che lo proiettano nei vari ambiti riferiti alla sua natura e protagonista di un fantasioso abbecedario esplicativo dei suoi campi di pertinenza.
La presenza della “cosa” è rintracciabile, sotto varie sembianze, nei campi più disparati: dall’arte al cinema, dalla letteratura alla musica popolare, dalla numerologia al fumetto, fino a diventare soggetto di alcuni particolari francobolli.

Riconoscendone il duplice valore di oggetto di antica tradizione e di rivisitazione futuristica, il capasone potrebbe divenire tema centrale di un museo didattico dedicato, che ne ripercorra la storia ravvivandone la memoria e proiettandolo verso futuri scenari coesivi tra passato, presente e futuro.


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